LA CORTE DI APPELLO DI SALERNO 
                           Sezione lavoro 
 
    composta dai magistrati: 
        1. dott. Gabriele Di Maio - Presidente relatore; 
        2. dott. Arturo Pizzella - consigliere; 
        3. dott. Mauro Casale G. aus.; 
    ha pronunciato, nel procedimento sopra  indicato  tra  Santangelo
Lorenzo n. q. di erede di  Curcio  Cristina,  parte  rappresentata  e
difesa come in atti dagli avv.ti Di  Genio  Giancarlo  e  Di  Lorenzo
Patrizia con domicilio eletto in via Diaz,  n.  47  84122  Salerno  -
parte appellante; 
    e I.N.A.I.L., parte rappresentata e difesa come in atti dall'avv.
Castellucci Teresa con domicilio eletto in via De Leo,  n.  12  84127
Salerno - parte appellata; 
    la seguente ordinanza. 
    Premesso: 
        che con ricorso depositato in data 14 gennaio 2015 Santangelo
Lorenzo, vedovo ed erede di Curcio Cristina, ha adito il Tribunale di
Vallo della Lucania in funzione di giudice del lavoro  esponendo  che
la  propria  dante  causa,  titolare  di  assicurazione  contro   gli
infortuni domestici gestita  dall'INAIL,  era  deceduta  in  data  26
giugno 2012 a  seguito  di  un  grave  incidente  domestico  avvenuto
nell'abitazione dei genitori della stessa in data 29  maggio  2012  e
chiedendo di condannare l'INAIL alla  corresponsione  in  suo  favore
della rendita da infortunio nonche' dell'assegno funerario; 
        che l'INAIL, costituitosi, ha resistito alla domanda  attorea
eccependo  che  l'infortunio  era  occorso  in  un  ambito   spaziale
differente rispetto a quello in  cui  viveva  e  dimorava  il  nucleo
familiare di appartenenza dell'assicurata; 
        che, con sentenza n. 44/2019 pubblicata in  data  25  gennaio
2019, il tribunale come sopra adito ha respinto il ricorso  rilevando
che «l'ambito spaziale in cui opera la tutela assicurativa in oggetto
si identifica con il luogo in cui vive e "dimora il nucleo  familiare
dell'assicurata",  che  nel  caso  di   specie   "e'   pacifico   che
l'infortunio che ha causato il decesso  dell'assicurata  e'  avvenuto
presso l'abitazione dei genitori dell'assicurata e non presso la  sua
casa coniugale" e che non era stato dimostrato  dall'attrice  che  la
stessa dimorasse abitualmente presso l'abitazione  del  padre  Curcio
Luigi in  Stio  alla  via  San  Lucido  e  non  presso  la  residenza
coniugale", peraltro pur non apparendo "inverosimile che la Curcio si
recasse frequentemente a casa dei propri genitori (i  quali  peraltro
abitavano, come dedotto, in un luogo  non  distante  dalla  residenza
dell'assicurata) per aiutarli nelle incombenze di casa»; 
        che, con ricorso depositato telematicamente in data 23 luglio
2019, Santangelo Lorenzo, nella spiegata qualita',  ha  adito  questa
Corte  proponendo  appello  avverso  la  suddetta  sentenza   ed   in
particolare rilevando la «sussistenza dei requisiti di cui alla legge
n. 493/1999 per la rendita per infortunio domestico»  alla  luce  del
concetto giuridico di «dimora della famiglia»  e  dovendosi  ritenere
che «la famiglia della sig.ra Curcio Cristina dimorava nella casa  in
via S. Lucido Stio (SA) intendendo  per  tale  l'insieme  di  persone
legate da vincoli di matrimonio,  parentela,  affinita',  adozione  e
tutela, o da legami  affettivi,  coabitanti  ed  aventi  la  medesima
dimora abituale, cosi' come stabilito dalla legge»; 
        che l'INAIL si e' costituito nel procedimento di appello  con
memoria depositata telematicamente in data  11  giugno  2020  con  la
quale ha resistito  al  gravame  chiedendone  il  rigetto  in  quanto
inammissibile e infondato; 
        che, con ordinanza resa in data  11  gennaio  2021  anche  ai
sensi dell'art. 101 del codice della procedura civile,  la  Corte  ha
invitato le parti ad interloquire in ordine ad eventuali  profili  di
incostituzionalita' dell'art. 6 della legge n. 493/1999 in quanto non
riferentesi al lavoro svolto in ambito domestico presso familiari non
facenti parte del proprio nucleo familiare convivente; 
        che sono state acquisite ulteriori informazioni a seguito  di
ordinanza in tal senso pronunciata in data  13  settembre  2021,  con
rinvio  all'odierna  udienza,  alla  quale  le  parti  sono  comparse
esponendo le proprie difese (in particolare, I'INAIL si e'  riportato
alle precedenti difese scritte con le quali  aveva  evidenziato  che,
come da propria «Istruzione operativa del 16 luglio 2002», la  tutela
assicurativa  in  questione  spetta  solo  in   favore   di   persone
«coabitanti»  e  che  l'estensione  dell'assicurazione  al  di  fuori
dell'ambito cosi delineato risulterebbe eccessiva); 
    Rilevato: 
        che la causa non puo' essere decisa  senza  lo  scrutinio  di
costituzionalita' dell'art. 6 della legge n. 493/1999, nella parte in
cui, dopo avere previsto che (comma 1) «lo Stato riconosce  e  tutela
il lavoro svolto in ambito domestico, affermandone il valore  sociale
ed  economico  connesso  agli  indiscutibili  vantaggi  che  da  tale
attivita' trae l'intera collettivita'» e precisato, comma 2,  lettera
a), che per lavoro svolto in ambito domestico  si  intende  l'insieme
delle attivita' prestate «senza vincolo di subordinazione e a  titolo
gratuito,  finalizzate  alla  cura  delle  persone  e   dell'ambiente
domestico», limita, comma 2, lettera b), «l'ambito domestico», al cui
interno opera l'assicurazione, solo all'«insieme  degli  immobili  di
civile abitazione e delle relative pertinenze ove  dimora  il  nucleo
familiare dell'assicurato» (e quindi unicamente a tutela  del  lavoro
domestico svolto solo in favore dei familiari ivi conviventi), con la
precisazione che «qualora l'immobile faccia parte di  un  condominio,
l'ambito domestico comprende anche le parti comuni condominiali»; 
        che, a ritenere tale limitazione conforme alla  Costituzione,
nel caso di specie  l'assicurazione  non  potrebbe  operare,  essendo
l'infortunio avvenuto nell'abitazione  dei  genitori  non  conviventi
della Curcio Cristina, e non invece in quella nella quale  la  stessa
risiedeva anagraficamente ed anche presumibilmente  dimorava  con  il
marito, in assenza di dirimente prova contraria, donde l'effettivita'
e la rilevanza concreta ed  attuale  della  questione  che  si  va  a
sollevare, peraltro a fronte  della  impossibilita'  di  una  diversa
soluzione interpretativa, impedita dalla  chiara  formulazione  della
norma in questione; 
        che la suddetta limitazione normativa appare invece illogica,
irrazionale e dunque irragionevolmente disciplinante in modo  diverso
situazioni sostanzialmente uguali, in violazione  dell'art.  3  della
Costituzione ed altresi' in riferimento all'art. 2 della Costituzione
comportante  l'inderogabilita'  dei  doveri  di  solidarieta',   agli
articoli 29 e seguenti della Costituzione in  tema  di  tutela  della
famiglia con particolare  riferimento  al  rapporto  tra  genitori  e
figli, all'art. 35 della Costituzione tutelante «il lavoro  in  tutte
le sue forme e condizioni», all'art. 38 della Costituzione quanto  al
diritto dei lavoratori a che «siano  preveduti  ed  assicurati  mezzi
adeguati alle loro esigenze di vita» in  relazione  agli  eventi  ivi
indicati ed all'art. 117 della Costituzione quanto  al  rispetto  dei
vincoli  derivanti  dall'ordinamento  comunitario  e  dagli  obblighi
internazionali; 
        che, sotto tali profili, giova in primo luogo evidenziare che
la legge n. 493/1999 e' stata emanata  a  seguito  della  discussione
scaturente dalla sentenza  n.  28/1995  della  Corte  costituzionale,
grazie alla quale si e' potuto affermare l'equiparabilita' del lavoro
eseguito  nell'ambito  familiare,  con  il  relativo  elevato  valore
sociale ed economico, ad altre forme di  lavoro  con  la  conseguente
ineludibile tutela stabilita dall'art. 35 della Costituzione; 
        che, in particolare, nella suddetta sentenza, non  si  faceva
affatto riferimento al lavoro svolto solo nei  confronti  del  nucleo
familiare convivente sotto la stessa dimora, al contrario  mettendosi
in evidenza l'«art. 230-bis del codice  civile  che,  apportando  una
specifica garanzia al  familiare  che,  lavorando  nell'ambito  della
famiglia o nell'impresa familiare presta in modo continuativo la  sua
attivita', mostra di considerare in  linea  di  principio  il  lavoro
prestato nella famiglia  alla  stessa  stregua  del  lavoro  prestato
nell'impresa» (laddove  l'art.  230-bis  codice  civile  non  prevede
espressamente che il rapporto ivi indicato presupponga la  convivenza
nella stessa abitazione dei familiari partecipanti all'impresa); 
        che, nella stessa sentenza,  veniva  altresi'  richiamata  la
risoluzione  del  Parlamento  europeo  del  13  gennaio  1986   sulla
creazione  di  condizioni   del   mercato   del   lavoro   favorevoli
all'equilibrio tra vita privata e vita  professionale,  al  punto  34
della  quale,  tra  l'altro,  si  invitavano  «gli  Stati  membri»  a
«riconoscere  il  valore  del  lavoro  svolto»  dai   prestatori   di
assistenza ai familiari (non solo conviventi) «per  la  societa'  nel
suo complesso», nel  mentre  che,  al  successivo  punto  37,  veniva
sottolineata la «necessita' di riconoscere  il  lavoro  svolto  dalle
persone che dedicano il proprio tempo e le  proprie  competenze  alla
cura delle persone  anziane  e  non  autosufficienti»,  senza  alcuna
limitazione  all'assistenza  dei  soli   familiari   conviventi   (la
risoluzione, al contrario, partiva anche dalle  considerazioni  della
messa  in  discussione  del  «concetto  tradizionale...  di  famiglia
nucleare» e della necessita' di  favorire  la  «solidarieta'  tra  le
generazioni»  e  rispondere  «alle  sfide  dell'invecchiamento  della
societa'», come pure delle circostanze che le donne «potrebbero dover
far fronte, a un certo punto della loro vita, alla cura di nipoti e/o
genitori anziani», che «l'Europa e' il continente con il numero  piu'
elevato di cittadini anziani e  con  un  processo  di  invecchiamento
destinato a proseguire nei  prossimi  decenni»  e  che  «molti  Stati
membri non dispongono di sufficienti  strutture  per  l'assistenza  a
lungo  termine   per   affrontare   l'aumento   del   fabbisogno   di
assistenza»); 
        che   il   riferimento,   nella   stessa    sentenza,    agli
«indiscutibili vantaggi» che dal lavoro familiare domestico «ne  trae
l'intera  collettivita'»  e,  nel  contempo,  agli  oneri   ed   alle
responsabilita' che ne «discendono e gravano - ancora  oggi  -  quasi
esclusivamente  sulle   donne   (anche   per   estesi   fenomeni   di
disoccupazione)» si adatta perfettamente anche al  caso,  come  nella
specie ben descritto dal primo giudice, della figlia che, in ossequio
ai propri doveri familiari  ed  evitando  il  ricorso  a  dispendiose
prestazioni assistenziali a carico della collettivita', debba recarsi
«frequentemente a casa dei propri genitori» anziani e con problemi di
salute (come da istruttoria amministrativa INAIL), peraltro  abitanti
«in un luogo  non  distante  dalla  residenza  dell'assicurata»,  per
«aiutarli»; 
        che, a fronte di tale identita' di «ratio», non si  vede  per
quale motivo tale forma  di  lavoro  familiare  domestico  svolta  in
favore di  genitori  anziani  e  malati,  pienamente  rientrante  nel
concetto lavorativo contemplato da Corte  costituzionale  n.  28/1995
cit. e del tutto analoga se  non  piu'  preziosa  rispetto  a  quella
svolta nei confronti dei familiari del  nucleo  familiare  convivente
sotto la stessa dimora (i quali potrebbero anzi  essere  maggiormente
autosufficienti ed eventualmente anche di grado  piu'  lontano),  non
debba del pari essere riconosciuta ex art. 35 della Costituzione, con
la conseguente tutela previdenziale ex art. 38 della Costituzione, in
coerenza con le richiamate previsioni comunitarie e  senza  le  sopra
denunciate violazioni delle norme costituzionali; 
        che la sopra denunciata ed irragionevolmente  discriminatoria
limitazione normativa, peraltro, appare contraddittoria con lo stesso
primo comma dell'art. 6 della legge n. 493/1999, nella parte in  cui,
coerentemente con quanto sopra esposto, dispone in generale al  primo
comma che lo Stato riconosce e tutela il lavoro svolto in (qualunque)
ambito  domestico,  affermandone  il  valore  sociale  ed   economico
connesso agli indiscutibili  vantaggi  che  da  tale  attivita'  trae
l'intera collettivita', salvo  poi  appunto  limitare  l'operativita'
dell'assicurazione al solo  luogo  di  dimora  del  nucleo  familiare
dell'assicurato, cosi' escludendo  il  lavoro  domestico  svolto  nel
luogo di dimora di altri stretti familiari non conviventi e bisognosi
di assistenza;